FRONTIERA:
“regione scarsamente e recentemente popolata, a diretto contatto con il wilderness o territorio non colonizzato“
Con Atlante della Frontiera ho voluto documentare un territorio della Pianura Padana che rappresenta un’anomalia e, da un certo punto di vista, una contraddizione rispetto alla ricca Emilia-Romagna di cui fa parte ma anche, più in generale, se confrontato al Nord Italia iper-sviluppato.
In un anno ho visitato oltre 30 piccoli paesi disseminati nella parte orientale della provincia di Ferrara, una delle 9 aree provinciali che compongono la regione Emilia-Romagna.
Pianura di nebbie e zanzare che qui viene chiamata “Terre basse” perchè spesso si trova sotto il livello del mare. E’ delimitata a nord dal grande fiume Po e ad est dal mare Adriatico.
Per molti secoli è stata zona paludosa e inospitale, dove imperversavano malaria e povertà estrema. Tra ‘800 e ‘900 il territorio ha visto una serie di imponenti bonifiche che, al costo di enormi sacrifici, lo hanno trasformato in terreni agricoli altamente produttivi.
Nonostante questo un vero benessere non è mai decollato e questa parte della provincia continua a subire un inarrestabile calo demografico, un sensibile aumento dell’età della popolazione, un crescente spopolamento e, più in generale, un costante impoverimento.
Andando verso est, partendo da Ferrara, e man mano che ci si addentra nel profondo della provincia, si viene colpiti da una geografia imprevista, fatta di campagne infinite, paesi incerti, case abbandonate e sporadici esseri umani.
In questi luoghi, in questa pianura i veri protagonisti sono la terra, le nuvole, il vento e il silenzio mentre l’uomo sembra un ospite, una comparsa, un accessorio.
Percorrere le strade di questo oriente, che sconcerta ma nello stesso tempo attrae, significa confrontarsi, visivamente ed emotivamente, con lo scarto macroscopico tra questo mondo di “frontiera” e quello a cui siamo ormai assuefatti: quello delle città del benessere, dell’industrializzazione esasperata, dei successi facili.
Allora, se vogliamo provare a capire, sarà tra le dissonanze di questa frontiera che andranno cercati altri sensi, altre visioni e altre prospettive.
All’inizio di questo viaggio nella frontiera il sentimento dominante è stato il disorientamento per essere finito in un’epoca che credevo scomparsa, nella quale ben poco sembrava corrispondere ai modelli mentali che avevo in testa, alla mia esperienza pregressa. Quale era il senso di questi paesi desolati, delle campagne sterminate, delle strade senza fine e delle case abbandonate? Passavo dallo sconcerto alla fascinazione e viceversa: emozioni contrastanti che può provare il viaggiatore che, per la prima volta, si reca in certi paesi dell’America Latina, dove gli opposti convivono e il sottile confine tra realismo e “magia” sono stati mirabilmente raccontati.
Ho pensato che fosse indispensabile un approccio nuovo, serviva una sorta di reset che azzerasse ogni pre-giudizio e consentisse di incominciare da capo.
Per un fotografo potrebbe tradursi nella necessità di “ricalibrare” la visione, quel sistema di messa a fuoco mentale che ti permette di “vedere” in modo divergente rispetto alle facili certezze, agli stereotipi, alle semplificazioni.
Ti rendi conto che ci vuole un altro passaggio, che se vuoi veramente vedere e trovare devi fare come gli archeologi, cominciando a scavare e cercare sotto la superficie e le apparenze.
Perchè solo un’archeologia della visione può consentirti di portare, letteralmente alla luce, le scoperte più sorprendenti.
Allora bisogna prendere un altro ritmo perchè queste strade rettilinee, questa campagna solcata dalle nuvole, questi paesi deserti non sono immobili, come avevi creduto, ma semplicemente si muovono a quel passo diverso e tutto loro che un poco per volta ti entra dentro e come una nostalgia ti spinge a tornare.
E dunque, come era prevedibile, alla fine del viaggio non esistono conclusioni ma, come sanno bene le popolazioni che hanno abitato questi spazi, solo e sempre altri inizi.